Devo innanzitutto ringraziare il signor Alex Baltazzi, la signora Marie Anne Marandet e il signor Fabio Tito per le informazioni che mi hanno fornito. Senza il loro aiuto e le loro approfondite conoscenze della storia di Smirne non sarei stata in grado di risalire alle origini della mia famiglia. Infatti, quando ho iniziato questa ricerca non sapevo neppure a quale generazione risalisse l’emigrazione dei miei antenati dall’Italia alla Turchia. Ora conosco molti particolari che li riguardano, attestati dai preziosi documenti che la signora Marandet mi ha gentilmente fornito, anche se la storia presenta ancora molti lati in ombra.
Spero che la pubblicazione di questo documento mi permetterà di entrare in contatto con persone che possano avere conosciuto qualche membro della mia famiglia o che siano in qualche modo legate ad essa (in effetti, non so nemmeno se a Smirne vivano ancora dei Di Lernia o dei Piccinini), in modo da riuscire a raccogliere quante più informazioni possibile.
Mi chiamo Anna Laysa Di Lernia e sono nata in Italia, dove risiedo in provincia di Milano, ma mio padre, mio nonno e il mio bisnonno sono nati e vissuti all’estero per più di un secolo prima che io nascessi.
In base a ciò che sono riuscita a scoprire, i miei antenati arrivarono a Smirne dall’Italia intorno al 1850. In quegli anni, un gruppo di uomini della famiglia Delerno, probabilmente fratelli e cugini, più o meno coetanei, si trasferì da Trani, in provincia di Bari.
Secondo i documenti del Consolato italiano di Smirne1, in origine il cognome della famiglia era Delerno, ma alcuni membri lo cambiarono in Di Lernia2, anche se nei registri parrocchiali si trova scritto in molti modi diversi ancora per anni (Delerno, De Lerno, Dellerno, Dilerno, Dillernia).
I documenti consentono di affermare che furono quattro o cinque i capostipite che si stabilirono a Smirne in quel periodo:
Negli anni fra il 1830 e il 1860 un certo numero di famiglie provenienti dalla Puglia, e più precisamente da Trani, Molfetta, Barletta e altri paesi della costa barese, lasciarono la propria terra (allora Regno di Napoli) e si stabilirono nel Levante. Secondo un saggio di Biagio Salvemini sui pescatori pugliesi nel periodo tra la metà del ‘700 e gli anni Trenta del ‘900, precise ragioni economiche e sociali diedero luogo a questo flusso migratorio. Durante l’ultimo quarto del ‘700, i pescatori dei paesi già citati adottarono una nuova tecnica di pesca detta “alla gaetana” (dal porto di Gaeta dove fu introdotta per la prima volta). Si trattava di una pesca a strascico con una rete tirata da due barche chiamate “paranzelli”, una tecnica che consentiva di catturare più rapidamente una gran quantità di pesce, per rispondere alla domanda di una popolazione in aumento. I pescatori pugliesi si avvantaggiarono dei divieti imposti ai colleghi della costa tirrenica dallo Stato Pontificio, potendo pescare lungo tutto il corso dell’anno nelle diverse zone del Mediterraneo orientale e persino nel Tirreno. L’economia della zona ebbe un grande sviluppo e i pescherecci di Trani, Molfetta, Barletta e Bari entrarono in concorrenza tra loro.
Negli anni 1815-1820 Trani era il più importante porto di pesca della costa, ma negli anni successivi la situazione cambiò: verso il 1850 i paranzelli di Trani erano utilizzati sempre più spesso per trasporti commerciali e i suoi pescatori presero l’abitudine di effettuare lunghe trasferte che li tenevano lontani da casa per mesi e anche anni. I dati del censimento di Trani mostrano che entro il 1861 almeno il 3% della popolazione, in genere maschi, pescatori, era emigrata e tale percentuale sale al 4,5% tra il 1861 e il 1871, mentre torna ad un 3,7% nel decennio successivo.
Le cause di questo fenomeno sono varie: la crescita di Molfetta e Bari come centri pescherecci e di Bari come porto commerciale, che provocò il declino di Trani; il fatto che molti Tranesi conoscevano i porti del Levante e le opportunità che offrivano7 e preferirono coglierle; interessanti incentivi all’emigrazione offerti dall’Impero Russo per insediamenti in Crimea; in alcuni casi anche ragioni politiche (alcuni Garibaldini lasciarono la zona prima dell’Unità). Alla fine del 2008 è stato pubblicato un interessante documentario realizzato dal giornalista Tito Manlio Altomare, intitolato “L’olocausto sconosciuto degli Italiani in Crimea”, che narra la storia, ben poco conosciuta, di una cinquantina di famiglie pugliesi che, negli stessi anni che stiamo considerando, si trasferirono da Trani nella cittadina di Kerch, in Crimea (oggi Russia), per sviluppare l’agricoltura locale e i trasporti attraverso il Mar Nero. Non si trattava di poveri emigranti come molti tra quelli che partivano per l’America, ma di marinai esperti, spesso piccoli armatori, e di abili agricoltori che coglievano nuove opportunità per sviluppare le loro attività. In Crimea la comunità crebbe in ricchezza e rilievo sociale, ma visse una drammatica esperienza negli anni che seguirono alla Rivoluzione russa del 1917 e soprattutto a partire dal 1934, nel periodo delle “purghe” staliniane, quando la gran parte dei suoi membri fu spedita nei gulag del Kazakistan (è possibile visionare questo splendido documento al seguente indirizzo indirizzo
Ciò che lascia stupiti è che i nomi delle famiglie che si trasferirono in Crimea sono in molti casi gli stessi di quelle che si insediarono a Smirne: Scagliarini, Ragno, Tito, Bassi, Fabiano, De Martino e (fatto estremamente emozionante per me) De Lerno. Il giornalista Tito Manlio Altomare ha intervistato alcuni discendenti della famiglia De Lerno e io sono riuscita a mettermi in contatto con una di loro, una giovane donna di nome Nataliya, che vive ancora a Kerch. Un’altra discendente, Marietta De Lerno, vive in Kazakistan, dove la sua famiglia è stata deportata, subendo la perdita di molti suoi membri e di tutte le proprie sostanze.
Senza i documenti di Smirne che attestano l’originario cognome della mia famiglia non sarei mai stata in grado di collegare i De Lerno russi con i Di Lernia levantino-greco-italiani.
Il progenitore del ramo della famiglia a cui appartengo è Francesco Delerno/Di Lernia. I documenti non forniscono altri dettagli riguardo a sua moglie, Teresa Ventura, anche se la famiglia Ventura è presente a Smirne nelle generazioni successive con un certo numero di membri. Teresa è stata registrata al n° 132 del Registro del Consolato italiano il 24 aprile 1879, tre settimane dopo la morte di Francesco, insieme ai figli, e probabilmente morì il 6 marzo 1908, se è la stessa persona che figura nel registro parrocchiale dei morti della Chiesa del Rosario di Smirne (Doc. 1).
In base ai racconti familiari, i miei antenati si sarebbero trasferiti a Smirne per lavorare alla costruzione della ferrovia, la ORC, e in effetti il primogenito di Francesco e Teresa, Giuseppe Di Lernia, nato il 5 gennaio 1862, è registrato come Dipendente delle ferrovie8.
Il secondo figlio di Francesco e Teresa era Gennaro Di Lernia, il mio bisnonno, e dopo di lui nacquero altri cinque figli: Rosa9 nel 1866, Policarpo10 nel 1872, Antonio11, nel 1874, Pasquale12 nel 1877 e Nicola13 nel 1879.
Il mio bisnonno Gennaro (Doc. 2) nacque a Smirne il 19 agosto 1864. Era un marinaio, più precisamente nocchiero, e il 26 gennaio 1893 sposò Maria Carmela Sanson (o Sansum), nata a Istanbul nel 1875. Il luogo di nascita della mia bisnonna è indicato nel Registro dei matrimoni della Cattedrale di Smirne, dove ebbe luogo la cerimonia, ma secondo le leggende familiari Carmela era nata a Malta14. Essendo molto bella, il Sultano la voleva nel suo harem e per evitarle questa sorte i suoi genitori (Francesco Sanson e Vincenza Cremona) l’avrebbero mandata a Costantinopoli presso una vecchia zia senza figli.
Non so come, Carmela e Gennaro si incontrarono; probabilmente accadde durante uno dei suoi viaggi come nocchiero: il commercio lungo la costa e fino alla capitale era intenso in quegli anni ed è plausibile che con la sua imbarcazione si recasse spesso a Costantinopoli. Oppure la famiglia di Carmela si era trasferita a Smirne. Lui era più vecchio di undici anni, aveva folti baffoni e capelli biondo/rossicci (il suo soprannome, in greco, era “gharida”, gambero, anche per la sua pelle chiara che si arrossava facilmente al sole) e vestiva alla turca. Secondo il racconto di famiglia fuggirono insieme e si sposarono a Smirne. Furono testimoni di nozze il padre di lei, Francesco Sanson, e una certa Maria Giaccolano (forse la madre Vincenza Cremona era morta?). (Doc.3).
Gennaro e Carmela ebbero otto figli, tutti nati a Smirne: Adolfo Francesco, detto Franzi, che nacque il 12 ottobre 1893 e morì a Rodi durante la Seconda guerra mondiale, Giovanni Battista, nato il 13 maggio 1895 (Doc. 4), Maria Alessandra, che nacque il 6 luglio 1897 e morì dieci mesi dopo, Teresa, che nacque l’11 aprile 1899 e morì nel 1916, a 17 anni, Vincenza, nata il 6 giugno 1903 (Doc. 5), Policarpo, mio nonno, nato il 28 giugno 1905 (Doc. 6), Luca, che nacque il 17 gennaio 1910 e morì il 5 febbraio 1911 per un ascesso al collo, come specificato nel certificato di morte (Doc. 7), e Giuseppe Gabriele, detto Kuzuna, nato nel 1912.
Carmela morì a Smirne il 7 giugno 1923, a 48 anni (forse in conseguenza dell’incendio?) e Gennaro non si risposò mai più: se qualcuno gli suggeriva di trovarsi un’altra moglie, lui gli tirava dietro il suo bastone da passeggio (sembra avesse un carattere un po’ irascibile…).
Gennaro, dopo la rivoluzione kemalista e a causa delle nuove leggi che riguardavano gli stranieri, lasciò Smirne. Si trasferì nell’isola di Rodi, che in quel periodo era italiana, con sua figlia Vincenza e i suoi figli Franzi15, Policarpo, mio nonno, e Giuseppe Kuzuna16. Ho ritrovato tra le carte di mio nonno Policarpo il Foglio di via di sola andata per Rodi rilasciatogli del Consolato Generale di Smirne il 16 marzo 1926.
Nessuno della famiglia ricorda che il secondo figlio di Gennaro, Giovanni Battista, si trovasse a Rodi, quindi è possibile che non abbia lasciato Smirne: nel 1920 aveva sposato Elisabeth Portelli, figlia di Policarpo e Rosa Scagliarini, ed ebbero tre figli (Gennaro, Carmela Antonia e Sofia Rosa). Non ho altre notizie su questo ramo della famiglia (Doc. 8).
Entrambi i miei nonni paterni erano nati a Smirne, da famiglie che si erano stabilite lì due generazioni prima della loro nascita. Dei Di Lernia ho già parlato. L’antenato di mia nonna si chiamava Filippo Felice Piccinini (o semplicemente Felice) ed era nato a Molfetta (Bari) il 25 aprile 1839 da Vincenzo e Maria Silvestri. A quanto pare fu il solo membro della sua famiglia a partire per Smirne17. Era un marinaio (così è indicato nel registro del Consolato italiano) ed era sposato con Teresa Frisani (o Frissano)18, figlia di Gaetano, nata a Trani nel 1850. Probabilmente i coniugi non lasciarono definitivamente l’Italia fino agli anni 1877-78, dato che, secondo il registro del Consolato, ebbero il loro primo figlio, Vincenzo19, a Smirne nel 1871, ma i due che seguirono, Maria (1873)20 e Gaetano (1876)21, risultano nati a Trani, mentre i successivi sette figli (il documento del Consolato non li riporta tutti) nacquero tutti a Smirne tra il 1878 e il 1889. I loro nomi erano Eleonora22, Antonio Nicola, il mio bisnonno (di cui parlerò in seguito), Luigi23, Policarpa24, Angela, Anna25 e Angela Anna26 (Doc. 10).
Filippo Felice ebbe una vita abbastanza lunga: morì nel 1911, a 72 anni, per una bronchite cronica, come documenta il registro dei morti della Cattedrale di Smirne (Doc. 11). Al contrario, sua moglie morì giovane, a soli 45 anni, nel 1895.
Diversamente dai Di Lernia, che emigrarono a Smirne come gruppo familiare e insieme ad altre famiglie tranesi, il trasferimento di Filippo Felice appare coerente con la descrizione della situazione economico-sociale di Molfetta delineata nel già citato saggio di Biagio Salvemini27. Negli anni intorno al 1850, quando moltissimi pescatori e marinai di Trani emigrarono, Molfetta aveva soppiantato il ruolo di Trani come principale porto peschereccio dell’area barese. Dagli anni ’50 agli anni ’90 dell’Ottocento Molfetta mantenne questa importanza economica, ma i suoi pescatori dovevano avventurarsi in lunghe e rischiose battute di pesca per procurare le quantità di prodotto richieste dal mercato: il registro degli arrivi e partenze del Porto di Molfetta mostra che intorno al 1870 molti pescherecci partivano per la Grecia e l’Egitto e rimanevano lontani per molti mesi. Il mio trisnonno potrebbe essere stato uno dei marinai imbarcati su quelle barche che andavano e venivano dall’Oriente.
Il quinto figlio di Felice e Teresa era il mio bisnonno, Antonio Nicola Piccinini, nato a Smirne il 30 giugno 1880 (Doc. 12). Rimase orfano di madre quando aveva 15 anni e probabilmente cominciò molto presto a lavorare, imbarcandosi insieme a suo padre e diventando un abile marinaio e successivamente capitano e proprietario di una piccola flotta commerciale. Il soprannome con cui era conosciuto era “barba Colé”.
Il 26 settembre 1903 sposò Teresa Mazzei, nata a Smirne il 30 agosto 1882 (Doc. 13 e Doc. 14). Teresa era figlia di Rocco Mazzei28, musicista, nato a Corleto Perticara (Potenza) nel 1853, ed Elisabetta (Laisa) Verdori (o Verdaki) nata verso il 1862, che si erano sposati a Salonicco nel 1880. Teresa aveva cinque fratelli: il primogenito era Egidio (nato nel 1881) (Doc. 15), poi Antonio (nato nel 1884), Nicola (del 1886), Maria (nata nel 1887, che sposò nel 1905 Polycarpo Piro, ma in un documento del 1924 è indicata come moglie di Firmino Bignami29, mentre in seguito, a Rodi, ebbe un altro compagno, un sarto di nome Gioacchino Segreto) e Angela (nata nel 1889 e morta a tre anni nel 1892) (Doc. 16).
Nicola e Teresa ebbero otto figli. Il primo era Vincenzo, nato a Smirne il 14 gennaio 1904 e tenuto a battesimo nella Cattedrale, il 25 febbraio, dalla sorella di Teresa, Maria Mazzei, come mostra il documento (Doc. 17).
Il secondogenito fu Felice, nato il 7 marzo 1906, che morì all’età di tre anni il 27 luglio (Doc. 18 e 19).
La terzogenita fu mia nonna Elisabetta, chiamata Laysa, che nacque il 19 gennaio 1908 e fu battezzata il 28 febbraio nella Chiesa del Rosario con il nome di sua nonna materna. In base ai documenti parrocchiali, sembrerebbe che, fino alla nascita di mia nonna, la famiglia risiedesse nel quartiere di Punta, ma successivamente si trasferì nel villaggio di Bayrakli (Doc. 20a-b-c).
Lì, infatti, morì nel luglio 1909 Felice, il fratello maggiore di Laysa, e sempre a Bayrakli alle 19.15 del 23 dicembre 1909 nacque sua sorella Polina Antonia, detta Pola, che fu tenuta a battesimo nella locale chiesa di S. Antonio il 24 febbraio 1910 da Lucas Cauki ed Emilia Mattesich (Doc. 21).
Il 18 aprile 1911 nacque Carlo, che fu battezzato il 28 maggio da Elisabeth Dickinson. La cerimonia si svolse, come per i primi tre fratelli, nella Chiesa del Rosario, il che lascia pensare che la famiglia si fosse trasferita da Bayrakli (Doc. 22).
Di sicuro, invece, tra la fine del 1911 e il 1913 la famiglia lasciò Smirne e si trasferì a Tripoli, in Libia, dove nel 1913 nacque il sesto figlio, Egidio, called Gigi. Sfortunatamente non possediamo documenti relativi alla sua nascita e sembra molto difficile riuscire ad ottenerli dalla Libia dopo tutti questi anni e le vicende storiche accadute, come mi ha confermato recentemente suo figlio Edoardo (Doc. 23).
Entro il 1915 la famiglia era nuovamente rientrata a Smirne, dove il 17 giugno nacque un altro figlio, che fu battezzato con il nome del secondogenito defunto, Felice, il 6 dicembre 1915 nella Chiesa del Rosario da sua zia (sorella di Nicola) Eleonora Piccinini Filippucci (Doc. 24 e Doc. 25).
L’ultimo figlio di Nicola e Teresa era Francesco. Il suo certificato di battesimo (Doc. 26) è molto interessante perché rivela alcuni dettagli: nel 1924 la famiglia viveva a Bournabat, dove Francesco nacque il 2 maggio alle otto di sera; Nicola era diventato un commerciante; anche se abitavano a Bournabat, la loro parrocchia era ancora la Chiesa del Rosario di Smirne, dove Francesco fu tenuto a battesimo dalla sorella di sua madre, Maria Mazzei, e da suo marito (il secondo? Si veda sopra) Firmino Bignami; Francesco non ricevette la Cresima a Smirne, poiché il documento non la menziona. Infatti qualche anno dopo (ma non conosco la data precisa) la famiglia lasciò Smirne e si trasferì nell’isola di Rodi, all’epoca colonia italiana come tutto il Dodecanneso.
In realtà non so molto della vita quotidiana dei miei avi a Smirne: mia nonna Laysa non raccontava spesso di quegli anni, e ancor meno lo faceva mio nonno Policarpo, per cui ho solo brevi immagini del loro periodo smirniota. So, per esempio, che Laysa e Pola frequentavano una scuola cattolica, forse francese (il Collegio del Sacré-Coeur?), dato che di solito dicevano le loro preghiere in francese; mia nonna odiava le carote bollite perché le suore la obbligavano a mangiarle, anche se – come diceva lei – suo padre regalava alla scuola cassette di ottimo pesce e di verdure che lui commerciava. Raramente raccontava delle terribili scene dell’incendio, ma ricordava di esser fuggita attraverso strade disseminate di cadaveri. Questo episodio mi aveva indotto a credere che la famiglia avesse abbandonato Smirne in quell’occasione, ma i documenti che attestano la nascita dell’ultimogenito Francesco a Smirne nel 1924 indicano o che non lasciarono la città nel 1922 (in effetti l’incendio interessò solo alcuni quartieri) oppure che partirono ma, come molti altri, tornarono in seguito.
Qualche parola sul mio bisnonno Nicola Piccinini, che era sicuramente un uomo di talento: marinaio esperto, parlava sei lingue (Greco, Turco, Italiano, Francese, Arabo e un po’ di Ebraico) ed era abbastanza intelligente da riuscire a trarre vantaggio dalla crescente importanza di Smirne come porto commerciale. Poco a poco divenne commerciante e armatore di una piccola flotta mercantile: amava ricordare che Aristotele Onassis aveva lavorato come mozzo sulle sue navi, prima di partire per l’America, ma non ho prove di questo racconto.
Il capitano Piccinini fu costretto dalle nuove leggi di Kemal Ataturk a lasciare Smirne, dato che voleva mantenere la nazionalità italiana, ma probabilmente aveva già organizzato il trasferimento della sua famiglia a Rodi, un porto che lui certamente conosceva bene per i suoi commerci. Qui continuò le sue attività e le ampliò ulteriormente: oltre alle navi, possedeva anche una segheria, di cui alcuni anziani di Rodi si ricordavano ancora fino a qualche anno fa e in famiglia si diceva che almeno per un periodo ebbe degli incarichi al porto di Rodi.
Per i Di Lernia ho purtroppo ancor meno informazioni: mio nonno Policarpo citava qualche volta la sua passione per il canto delle canzoni d’amore di Smirne accompagnato dalla chitarra che amava strimpellare.
Come già accennato, tra le carte di mio nonno Policarpo ho ritrovato il Foglio di via per Rodi datato 16 marzo 1926 Doc. 27) quindi è molto probabile che tutti i fratelli Di Lernia (tranne forse Giovanni) insieme a loro padre abbiano lasciato Smirne quell’anno. Per i Piccini non ho una data precisa: sicuramente lo fecero tra il 1924 e il 1930, come molti altri cittadini italiani Doc. 28a-b) Non so se le due famiglie si frequentassero già a Smirne, ma so che a Rodi la comunità degli smirnioti manteneva relazioni molto strette.
Subito dopo il suo trasferimento a Rodi, mio nonno Policarpo partì per l’Italia dove svolse il servizio militare (dal giugno 1926 all’ottobre 1927, Doc. 29) e qualche anno dopo si recò per un anno a Marsiglia per lavoro.
I miei nonni Laysa Piccinini e Policarpo Di Lernia si sposarono a Rodi, nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria, il 10 settembre 1934 (Doc. 30). Tra il 1935 e il 1942 ebbero cinque figli: Carmela Teresa (2.3.1935/23.10.2006), Gennaro (Gino), mio padre (12.5.1936), Teresa (17.8.1937/12.6.2016), Nicoletta Guerrina (23.1.1941) e Anna Maria, detta Irene (19.10.1942, morta a soli nove mesi).
Nel maggio 1943, a causa degli eventi bellici, la famiglia dovette trasferirsi nuovamente. Mia nonna Laysa, con i suoi cinque figli, e sua cognata Angela Scagliarini, moglie di Vincenzo Piccinini, con i suoi sette bambini, furono imbarcati su un volo militare per l’Italia (Doc. 31).
A Rodi, infatti, mio nonno Policarpo lavorava all’aeroporto di Maritsa e per questa ragione, probabilmente, gli fu possibile ottenere di poter rimandare la famiglia in Italia con questo mezzo.
L’aereo fece scalo ad Atene, dove mia nonna ebbe modo di incontrare per qualche ora suo fratello Carlo.
Il 28 maggio 1943 le due donne e i dodici bambini arrivarono a Bari, dove i bisnonni Nicola e Teresa, dopo il loro ultimo viaggio in Italia, si erano fermati su consiglio dei figli, che avevano previsto il precipitare della situazione politico-militare (Doc. 32 e Doc. 33).
Mio nonno Policarpo, in quanto militare italiano, rimase a Rodi, dove dopo l’8 settembre 1843 si diede alla macchia fino all’arrivo dell’esercito inglese.
Fu internato nel campo di concentramento N. 378 W.P., come attestato dal brandello di documento riportato (Doc. 34). Si tratta della comunicazione che la Segreteria del Papa si incaricò di inviare alle famiglie dei prigionieri di guerra per informarle sulla sorte dei loro familiari. Si ricongiunse alla famiglia alla fine del 1945.
Gli altri membri della famiglia, zii, cugini ecc., rientrarono in Italia nel 1945 sulle navi che riportavano in patria i profughi dell’Egeo e furono ospitati nei campi allestiti a Bari e ad Aversa.
Cominciava così un nuovo capitolo della loro storia.
Sesto San Giovanni (Mi), marzo 2021 - annalaysa61.aldl[at]gmail.com
1 Le fonti su cui mi sono basata per questa ricostruzione sono principalmente registri parrocchiali e consolari, che però non ho consultato di persona. Un grande contributo viene dal lavoro di Marie Anne Marandet (pubblicato nel suo data-base Marmara2) e del gruppo di discendenti delle famiglie levantine con cui collabora. Per quanto riguarda i registri del Consolato italiano di Smirne, la loro compilazione risale al 1871, quando lo Stato italiano istituì un proprio Ufficio consolare e iniziò a registrare come “cittadini italiani” tutti coloro che già risiedevano nella zona. Solo per Costantinopoli esiste un registro dei sudditi del Regno di Sicilia e Napoli e uno dei sudditi Sardi. Dunque per il periodo preunitario la fonte principale sono i registri delle varie parrocchie a cui i residenti italiani si rivolgevano per i matrimoni, i battesimi e le morti.
Un’altra fonte molto importante è stato l’Archivio del Comune di Trani da cui, grazie alle ricerche del sig. Pasquale Palone, ho potuto ricostruire la genealogia tranese risalendo fino ai primi del ‘700. Preziosissimo poi l’aiuto del sig. Saverio Cortellino, profondo conoscitore dei documento d’archivio relativi a Trani e alla provincia di Bari, che mi ha aiutato a ricollegare i dati degli emigrati a Smirne con quelli degli archivi italiani e a recuperare le trascrizioni inviate a Trani dal Consolato di Smirne.
2 In alcune registrazioni compare questa nota: “Il cognome è stato cambiato in Di Lernia”
3 Questa dicitura “morto prima del…” è dovuta al fatto che i dati di queste persone sono stati ricostruiti a partire dalle registrazioni delle loro mogli, avvenute quando il Consolato di Smirne iniziò la ricognizione dei cittadini italiani lì residenti. L’anno di registrazione costituisce quindi un “terminus ante quem” per la morte di questi uomini (di cui non sappiamo la data precisa), dato che le mogli sono indicate come “vedova di…”
.
4 Da un’analisi delle note del Registro consolare appare probabile che questi due Domenico siano lo stesso individuo, rimasto vedovo della prima moglie e quindi risposatosi. Infatti nelle note relative alla figlia Eugenia (data come nata circa nel 1851) è scritto “figlia di Domenico e Maria Mastropasqua” (benché risulti tra i figli di Domenico e Maria Carabotti o Carabetti) e questo potrebbe fare supporre che i primi tre figli di Domenico (Nicola, Emanuele ed Eugenia) siano nati dal matrimonio con Maria Mastropasqua tra il 1848 e il 1851, mentre il primo figlio di Domenico e Maria Carabotti, Pasquale, è del 1855. Tali imprecisioni non sono rare nei registri e spesso sono causate da non chiare distinzioni tra i figli di primo e di secondo letto.
5 I documenti dell’archivio di Trani sono stati preziosi per stabilire che gli ultimi due Delerno, Francesco e Vincenzo, non erano fratelli, pur essendo entrambi figli di Giuseppe, poiché le rispettive madri erano diverse. Giuseppe Delerno, con la moglie Maria Desanti, deve essere emigrato prima del 1848 a Smirne, dove è nato Vincenzo, mentre il Giuseppe padre di Francesco (nato a Trani nel 1789 e morto sempre a Trani il 29 aprile 1864) probabilmente non si trasferì mai dall’Italia.
6 Biagio Salvemini, Comunità separate e trasformazioni strutturali. I pescatori pugliesi fra metà Settecento e gli anni Trenta del Novecento, in “Mélanges de l’Ecole Française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes” T. 97, N°1. 1985, pp 441-488 (l’articolo è visionabile su http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/mefr_0223-5110_1985_num_97_1_2810).
7 Nel 1827 fu siglato tra il Regno di Napoli (cui la Puglia apparteneva) e l’Impero Ottomano un trattato commerciale in base al quale le navi battenti bandiera del Regno erano autorizzate al libero commercio nel Levante. Questa fu una grande opportunità economica per i Pugliesi che possedevano delle imbarcazioni (e i pescatori in genere erano proprietari delle loro barche).
8 Giuseppe ebbe vita più lunga di suo padre (morì il 29 maggio 1932, a 70 anni) e si sposò tre volte: nel 1888 con Teresa Accoto (nata nel 1865) che gli diede quattro figli (Francesco nel 1890, Antonio nel 1891 e le gemelle Emilia e Maria Lucia nel 1893), ma morì a soli 28 anni dieci giorni dopo la nascita delle gemelle, nel 1894. Disgraziatamente nemmeno le gemelle sopravvissero: Emilia morì a 8 mesi, Maria Lucia a 3 anni. Così Giuseppe nel 1895 sposò la sorella della sua prima moglie, Giovanna Accoto, dalla quale ebbe altri tre figli: Teresa nel 1896, Giuseppe Pasquale nel 1897 e Policarpo Antonio nel 1898. Anche Giovanna morì giovane, a 32 anni, nel 1901, e nel 1903 Giuseppe prese una terza moglie, Antonia Cosentino che, già quarantenne, gli diede il suo ottavo figlio, Emanuela, nata nel 1904.
9 Rosa nacque il 1° giugno 1866 ed ebbe due mariti: Giuseppe Camporeale, nato a Bari, che sposò nel 1883 e da cui ebbe cinque figli (Michele, Victoria, Michele, Teresa, Anna Camporeale) tra il 1885 e 1896, e Antonio Musmus, sposato nel 1900, dal quale ebbe altri quattro figli (Francesco, Marie, Polycarpe e Lucia Musmus) tra il 1901 e il 1907. Rosa morì a Smirne l’8 dicembre 1938.
10 Policarpo nacque il 28 settembre 1872 e nel 1897 sposò Anna Tito (nata nel 1878).
11 Antonio nacque il 29 maggio 1874 e nel 1900 sposò Margherita De Lucia. Ebbero sette figli: Francesco (sposato con Maria Policarpina Portelli), Antonio, Luigi (sposato con Maria Rosaria Bassi), Policarpo, Carmelo, Paolo e Vittorio.
12 Pasquale nacque il 24 giugno 1877 e morì nel 1915. Sposò Caterina Marinaro ed ebbero quattro figli: Francesco, Teresa Giovanna (sposata con Giorgio Gheracaris), Spiridione e Maria.
13 Nicola nacque il 16 gennaio 1879 e sposò nel 1904 Marianthi Caluta, dalla quale ebbe tre figli: Teresa, Francesco e Giovanni.
14 Non ho trovato conferme a questo racconto, dato che il cognome Sanson o simili (Sansum, Sansone ecc.) non compare nell’elenco dei residenti a Malta dal 1700 in poi, mentre vi sono attestati alcuni Cremona (la famiglia della madre di Carmela), ma non so se appartengano allo stesso ramo. L’unico legame che ho trovato tra la famiglia Sanson e Malta è nella lista dei marinai maltesi della Royal Navy: un certo Antonio Sansone, 362523, nato alla Valletta il 20 febbraio 1881, si arruolò nella Royal Navy nel 1904 a bordo della HMS Illustrious come musicista della banda, ma si congedò nel 1905. Potrebbe forse trattarsi dell’Antonio Sanson che compare nei documenti di Smirne, fratello di Carmen. Sposò Josepha Vierda ed ebbe sette figli: Elena (che sposò nel 1917 Antonio Karakulaki), Paola Maria, Francesco Battista (sposato nel 1922 con Euphrasie “Francesca” D’Andria), Maria Pasqualina (che sposò Policarpo Tito lo stesso giorno del matrimonio di suo fratello), Policarpo, Emilio e Odetta. Recentemente sono entrata in contatto con Antonella Tito, una discendente di Policarpo Tito e Maria Pasqualina “Lilly” Sanson, che mi ha confermato la parentela tra Carmela e Antonio Sanson e l’origine scozzese della famiglia, oltre ad avermi fornito preziosissime foto, tra cui quella del mio bisnonno Gennaro.
Un altro Sanson viveva a Smirne in quegli anni, Michel, che sposò nel 1906 Anne Elisabeth Cauki e nel 1924 Thérèse Bretin.
15 Nel 1915 zio Franzi aveva sposato Maria Leonarda Tito, detta Nardò, nata a Smirne il 10 febbraio 1893. Ebbero quattro figli: Gennaro, Bartolomeo Giuseppe, Bartolomeo e Carmela Maria, ma solo Gennaro e Carmela sopravvissero (Doc. 9). Dopo il 1926 si trasferirono a Rodi, dove Franzi morì dopo una lunga malattia. Le circostanze della morte di zio Franzi furono particolarmente drammatiche. Era il 1944 e l’isola era sottoposta a continui bombardamenti. A causa dell’allarme antiaereo, tutti dovettero correre al rifugio e il corpo di zio Franzi fu lasciato incustodito a casa. Quando mio nonno Policarpo rientrò dal rifugio, trovò il corpo di suo fratello assalito dai topi, anch’essi spinti dalla fame, come tutta la popolazione. Zia Nardò, Gennaro e Carmela rientrarono in Italia insieme agli altri profughi dell’Egeo nel 1945: dopo un breve soggiorno a Bari, furono mandati a Napoli (Aversa), dove si stabilirono. Carmela aveva sposato a Rodi un giovane della famiglia Maglione di Casoria (Napoli).
16 Giuseppe si sposò a Rodi con Marialuisa Ricciardi, nata a Smirne nel 1920, ed ebbe due figli, Carmela e Gino, che rimasero presto orfani: la loro madre rimase uccisa sotto uno dei primi bombardamento della RAF il 27 agosto 1941, a soli 21 anni. Quando Giuseppe e i bambini arrivarono in Italia con gli altri profughi, rimasero alcuni mesi con la loro zia Vincenza e con mia nonna Laysa, ma in seguito dovettero essere affidati ad un orfanotrofio. Giuseppe morì nel 1966.
17 Un altro Piccinini compare nel registro dei matrimoni della Chiesa di Santa Maria Draperis a Istanbul: nel 1886 Marie Hortense Piccinini, figlia di Lazzaro, già defunto a quella data, sposò Frédèric Testa.
18 Altri Frisani (o Frissano) vivevano a Smirne in quel periodo: una Francesca, sposata con Onofrio Bassi, e una Angiolina (o Angela), nata nel 1850 a Trani e sposata con Giovanni Battista Fabiano. Se si considera che i figli di queste tre donne hanno nomi ricorrenti, è possibile ipotizzare che fossero sorelle (Teresa e Angiolina gemelle?), tutte figlie di Gaetano ed Eleonora Fabiano, attestati come marito e moglie in alcuni documenti di Smirne. Queste donne avevano certamente legami reciproci, dato che Angiolina fu madrina di tre dei figli di Felice e Teresa (Eleonora, Luigi e Angela).
19 In assenza di altri documenti (per esempio il certificato di battesimo), nutro qualche dubbio sul fatto che Vincenzo sia nato a Smirne e per giunta solo due anni prima della sorella secondogenita, nata invece a Trani: si dovrebbe ipotizzare che la famiglia sia rientrata in Italia con il primogenito ancora neonato oppure quando Vincenzo era un po’ più grande, ma sua madre era già incinta della seconda figlia. Vincenzo è indicato nei registri del Consolato come “barcaiolo”. Morì molto giovane, a soli 28 anni, nel 1899. Nel 1893 aveva sposato Carmela Galdies, dalla quale ebbe tre figli: Teresa Caterina, nel 1894, che sposò nel 1930 Giorgio Policarpo Ventura, Policarpo Salvatore nel 1897, morto a Buca nel 1958, e Liberata Antonia, che sposò nel 1919 Vittorio Braggiotti.
20 Maria Piccinini sposò nel 1890 Joannes Vragnatz.
21 Gaetano Piccinini morì nel febbraio 1877, quando aveva circa un anno.
22 Eleonora Piccinini nacque nel 1878 e nel 1894 sposò Vincenzo Filippucci, dal quale ebbe nove figli: Anna Teresa, Teresa Maria (sposata con Antonio Micaleff), Maria Teresa Agnese, Maria Filippucci-Cassar, Antonio (sposato con Maria Papagno), Agnese Rosa (che sposò il marito di sua sorella Teresa Maria, Antonio Micaleff, nel 1924, probabilmente dopo la morte della sorella), Edoardo Antonio (sposato con Renée Sponza), Felicita (sposata con Giovanni Sponza) e Natalina Anna (sposata con Mario Tornaviti). Eleonora morì nel 1945.
23 Luigi Piccinini nacque nel 1882 e morì nel 1894 a 12 anni.
24 Policarpa Piccinini nacque nel 1894 e nel 1903 sposò Policarpo Capadona.
25 Angela e Anna Piccinini ebbero un’esistenza molto breve: la prima nacque il 15 ottobre 1885 e morì un mese dopo, la seconda nacque nel 1888 e morì all’età di tre anni.
26 Angela Anna Piccinini nacque nel 1889 e nel 1906 sposò Giovanni Juane Serra. Ebbero 4 figli: Tommaso Tommy (sposato con Domenica Vassallo), Felice, Rosa (sposata con John Papi) e un altro Felice.
27 Si veda nota 6.
28 Rocco era figlio di Egidio Mazzei e Teresa Zitto e aveva un fratello, Antonio, anch’egli emigrato a Smirne. I due fratelli sposarono due cugine: Rocco sposò Elisabetta Laisa Verdori, Antonio Virginia Verdori (chiamata in famiglia zia Virginie), figlia di Giorgio Verdori e Antoinette Armao.
29 Si veda il certificato di battesimo di suo nipote Francesco Piccinini, del quale lei e il suo secondo marito furono madrina e padrino.